A bordo palco. Dodici lettere d’amore e di digiuno per il jazz
Louis Armstrong disse: “Se domandi cos’è il jazz non lo scoprirai mai”. Di sicuro, è un vecchio signore di oltre cent’anni che ancora fa parlare di sé, talvolta litigare. Queste pagine sono lo svolgimento ironico e abrasivo di un filo rosso della storia sempre sul bilico d’essere reciso. I suoi protagonisti? Musicisti, pubblico e critici, che formano tutt’altro che un triangolo equilatero. La fine delle grandi scuole del Novecento, l’elettronica e l’intelligenza artificiale, lo spostamento dalle strade alle accademie, la fusione con le musiche colte contemporanee, la fine del mercato discografico e l’irruzione delle autoproduzioni sono solo alcuni dei grandi temi che raccontano una storia in trasformazione e della quale è urgente riconoscere la fisionomia per trovare una nuova direzione creativa. In fondo, come ogni arte, anche il jazz racconta l’uomo e il mondo in cui vive, le polveri e gli altari: i pregiudizi snob, le avanguardie che stentano a definirsi, le ipocrisie e le millanterie degli inner circles, il mancato ricambio generazionale di giornalisti capaci di leggere i cambiamenti con giuste diottrie, ma anche una profusione di bellezza e creatività che va trattata con grazia e intelligenza. A bordo palco è la cronaca di chi ha avuto la fortuna di conoscere e intervistare tanti giganti di questa musica, chiacchierando dei problemi in campo. Più domande che risposte, come è abituato a fare (e a vivere) chi ama davvero il jazz.
PAOLO ROMANO È responsabile del patrimonio artistico della Camera dei Deputati. Giornalista, scrive su Musica Jazz, ha collaborato con Il Corriere della Sera, Huffington Post, l’Espresso, occupandosi di scuola, musica e culture. Ha pubblicato i romanzi La formica sghemba (2019), Quando cavalcavo i mammut (2021) e una raccolta di racconti, I rebbi molli (2023).
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A bordo palco. Dodici lettere d’amore e di digiuno per il jazz
Paolo Romano
A bordo palco. Dodici lettere d’amore e di digiuno per il jazz
Louis Armstrong disse: “Se domandi cos’è il jazz non lo scoprirai mai”. Di sicuro, è un vecchio signore di oltre cent’anni che ancora fa parlare di sé, talvolta litigare. Queste pagine sono lo svolgimento ironico e abrasivo di un filo rosso della storia sempre sul bilico d’essere reciso. I suoi protagonisti? Musicisti, pubblico e critici, che formano tutt’altro che un triangolo equilatero. La fine delle grandi scuole del Novecento, l’elettronica e l’intelligenza artificiale, lo spostamento dalle strade alle accademie, la fusione con le musiche colte contemporanee, la fine del mercato discografico e l’irruzione delle autoproduzioni sono solo alcuni dei grandi temi che raccontano una storia in trasformazione e della quale è urgente riconoscere la fisionomia per trovare una nuova direzione creativa. In fondo, come ogni arte, anche il jazz racconta l’uomo e il mondo in cui vive, le polveri e gli altari: i pregiudizi snob, le avanguardie che stentano a definirsi, le ipocrisie e le millanterie degli inner circles, il mancato ricambio generazionale di giornalisti capaci di leggere i cambiamenti con giuste diottrie, ma anche una profusione di bellezza e creatività che va trattata con grazia e intelligenza. A bordo palco è la cronaca di chi ha avuto la fortuna di conoscere e intervistare tanti giganti di questa musica, chiacchierando dei problemi in campo. Più domande che risposte, come è abituato a fare (e a vivere) chi ama davvero il jazz.
PAOLO ROMANO
È responsabile del patrimonio artistico della Camera dei Deputati. Giornalista, scrive su Musica Jazz, ha collaborato con Il Corriere della Sera, Huffington Post, l’Espresso, occupandosi di scuola, musica e culture. Ha pubblicato i romanzi La formica sghemba (2019), Quando cavalcavo i mammut (2021) e una raccolta di racconti, I rebbi molli (2023).
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Paolo Romano
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